Rivista semestrale internazionale di Storia Contemporanea diretta da Angelo Del Boca
Edizioni Centro Studi Piero Ginocchi Crodo
Infiniti i sentieri della ricerca, di Angelo Del Boca
«I sentieri della ricerca», la rivista di cui oggi pubblichiamo il primo numero, raccoglie l’eredità di «Studi piacentini», che fondammo diciannove anni fa. Salvo qualche arricchimento, la nuova rivista conserva la stessa struttura del semestrale pubblicato a Piacenza, le stesse finalità, le stesse ambizioni, persino lo stesso progetto grafico, semplice ed essenziale. Non potendo più proseguire, per le ragioni che abbiamo esposto nel numero 36 di «Studi piacentini» (l’ultimo che reca la nostra firma), la lunga e bellissima esperienza culturale nel Piacentino, abbiamo trasferito la rivista in Piemonte, tra le montagne dell’Ossola, in un clima sereno, non turbato da infelici e immotivati contrasti.
Qui, fra le montagne che hanno visto nascere la Repubblica partigiana dell’Ossola, forse il più nobile e avanzato progetto democratico realizzato nell’Italia ancora occupata dai nazisti, già anticipatore della Costituzione repubblicana del 1946, proseguiremo quella ricerca storica che abbiamo sempre cercato di condurre con metodo, passione, coerenza e senso di responsabilità. Ci conforta pensare che in questa nuova avventura intellettuale ci hanno seguito tutti i nostri antichi collaboratori mentre altri, nuovi, ci hanno fornito la loro adesione.
La rivista si apre con una sezione dal titolo Vivere la Resistenza. Abbiamo infatti stretto un accordo con la direzione dell’Istituto Storico della Resistenza e della società contemporanea nel Novarese e nel Verbano-Cusio-Ossola Piero Fornara con l’intento di dotare ogni numero della pubblicazione di uno o più saggi che rievochino episodi o figure della lotta di liberazione nella provincia di Novara prima che venisse suddivisa. Non siamo infatti d’accordo con il presidente del Senato, Marcello Pera, che il 13 dicembre 2003 ha sostenuto che, a sessant’anni dalla liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, è giunto il momento di «abbandonare il mito della resistenza per consegnarlo definitivamente agli storici». Ha inoltre dichiarato che «non abbiamo più bisogno della vulgata tolemaica resistenziale: non dobbiamo più dire che la Repubblica e la Costituzione sono antifasciste, ma che la Repubblica e la Costituzione sono democratiche».
No, professor Pera, la Resistenza non è un mito e non è affatto venuto il momento di relegarla in soffitta. Se lei dedicasse un po’ del suo tempo a studiare il movimento di liberazione in Italia si accorgerebbe, ad esempio, che la Costituzione - come ha giustamente precisato lo storico Angelo d’Orsi - «è nata proprio dall’antifascismo, cioè da un accordo tra le forze politiche che si erano battute contro il fascismo». Le consigliamo inoltre di leggere i tredici, splendidi verbali redatti dal segretario della Giunta provvisoria della Repubblica partigiana dell’Ossola, Umberto Terracini. Quello stesso Terracini che tre anni dopo avrebbe presieduto a Roma l’Assemblea Costituente. In quei tredici verbali ci sono alcune norme, alcuni principi, che sono stati adottati dalla nostra Costituzione. Una Costituzione ancora viva, garantista, efficiente, ma che si vorrebbe distruggere, così come il «mito» della Resistenza.
Il secondo settore della rivista ospita i saggi di Storia locale, tanto del novarese che della nuova provincia del Verbano-Cusio-Ossola. Nostro intento è di fornire le caratteristiche salienti di questi settori, analizzando le trasformazioni che si sono verificate negli ultimi centocinquant’anni, sotto il profilo sociale, economico, politico, religioso e culturale. Edgardo Ferrari, ad esempio, affronta in questo primo numero della rivista un episodio assai poco indagato, quello dell’appoggio dei cattolici ossolani al candidato liberale, on. Alfredo Falcioni, alle elezioni politiche del 1909. Era la prima volta che ciò accadeva ed avrebbe portato, nel periodo giolittiano, al processo di integrazione tra la borghesia laica e quella cattolica.
Più sostanziosa la parte centrale della rivista, dedicata ai saggi di Storia nazionale. In questo numero presentiamo un saggio di Riccardo Cappelli sul «Centro Raccolta Profughi» di Marina di Carrara, che fu attivo, in condizioni di estremo degrado, dal 1946 al 1976. Umberto Chiaramonte, che alla classe politica e al movimento operaio in val d’Ossola ha dedicato due eccellenti volumi, e che negli ultimi anni ha studiato a fondo l’autonomismo nella storia d’Italia, ricostruisce in questo numero le vicende legate al decentramento amministrativo durante il fascismo e alla costituzione di ventisei nuove province. Gian Mario Bravo, dal canto suo, affronta la figura di Arturo Labriola, massimo esponente della corrente socialista del sindacato rivoluzionario, e ne evidenzia le notevoli incoerenze. Nel 1911, infatti, solo fra i leader socialisti, appoggerà la guerra contro la Turchia per la conquista della Libia.Sarà anche recidivo. Esule in Francia e poi negli Stati Uniti, perché avverso al fascismo, nel 1935 farà ritorno in patria per sostenere la guerra d’Etiopia.
La sezione successiva ha per titolo Africa e dintorni ed è un po’ il nostro fiore all’occhiello. Allo studio dell’Africa, infatti, abbiamo a volte dedicato il 60/70 per cento delle pagine della rivista, tanto che «Studi Piacentini» si è con il tempo validamente inserita fra le poche riviste di africanistica stampate in Italia. La decisione di dare molto spazio all’Africa è maturata negli anni ottanta quando la carenza di studi in questo settore era più che mai manifesta e addirittura inspiegabile se si pensa al livello della ricerca in altri Paesi europei. Da più di tre lustri, dunque, abbiamo metodicamente analizzato gli avvenimenti africani, sia del periodo coloniale che postcoloniale, dando vita anche a due convegni, il primo sulle guerre coloniali del fascismo, il secondo sulla disfatta di Adua, i cui atti sono stati raccolti e pubblicati dall’Editore Laterza. Il nostro impegno, dunque, è a tutto campo e ha fornito risultati di enorme rilevanza come, ad esempio, le tremende rivelazioni sulle stragi compiute nel 1937, dai generali di Graziani, nella città conventuale di Debrà Libanòs, in Etiopia. In questo numero pubblichiamo tre saggi, di Nicola Labanca, Marco Lenci e Felice Pozzo. Labanca commenta due lunghe lettere, inedite, scambiate nel settembre del 1937 tra l’ispettore Davide Fossa, all’epoca la più alta autorità del Partito nazionale fascista in Etiopia, e il ministro dell’Africa Italiana, Alessandro Lessona. Dal carteggio emerge chiaramente che, a diciassette mesi dall’occupazione italiana dell’Etiopia, nell’impero non funziona nulla, la corruzione dilaga negli organismi governativi, la ribellione dei partigiani etiopici si aggrava giorno per giorno nonostante le continue repressioni. La replica di Lessona, che sta per essere licenziato da Mussolini, è assolutamente sconcertante. Pur apprezzando la sincerità di Fossa e ammettendo la lunga serie di errori e di fallimenti nella costruzione dell’impero, respinge ogni addebito, riversando sugli altri ogni responsabilità. Ma anche con l’allontanamento di Lessona e il rientro in patria di Fossa le cose non cambieranno in meglio. Il destino dell’impero è ormai segnato. Marco Lenci, dal canto suo, riporta e commenta la testimonianza del sergente Luigi Canali sull’impiego, in Etiopia, dell’arma chimica. Un impiego tante volte, anche di recente, smentito, e che invece è stato quasi una norma nel corso della guerra dei sette mesi ed in seguito nei cinque anni della controguerriglia. Nella lettera alla famiglia, il sergente Canali scrive testualmente: «Le zone attraversate recentemente sono state abbondantemente bombardate e cosparse di “iprite”. Alcune tracce sono visibili». Si tratta della regione montuosa fra l’Amba Aradam e l’Amba Alagi, teatro di furiosi combattimenti tra le truppe italiane d’invasione e l’armata di ras Mulughietà. Felice Pozzo pone invece in rilievo il ruolo determinante dell’Africa nella copiosa produzione di Emilio Salgari. Il Continente Nero, con i suoi misteri, non è soltanto presente nei libri di avventure del romanziere morto suicida, ma anche nel suo lavoro giornalistico giovanile quando, con lo pseudonimo di «Ammiragliador», chiedeva un posto al sole per l’Italia.
Del tutto nuova, invece, la quinta ed ultima sezione, che riguarda l’Europa e le sue trasformazioni a partire dalla fine della seconda guerra mondiale e, in modo particolare, dalla caduta del muro di Berlino. Il lento, ma si spera inarrestabile, processo di formazione dell’Unione Europea, così come il percorso faticoso e confuso degli ex paesi dell’Unione Sovietica, sono due avvenimenti di fondamentale importanza che meritano una costante attenzione. Cristian Collina, ad esempio, esamina l’attuale politica di Restructurizacija dell’industria della difesa russa e giunge alla conclusione che il nuovo corso di trasformazioni rilancia le capacità militari, economiche, scientifico-tecnologiche di Mosca, tanto da riproporre la Russia, che si pensava fuori gioco, tra le grandi potenze. Giorgio Novello, dal canto suo, analizza il processo di reintegrazione della Mitteleuropea
nell’Unione Europea e si sofferma sul dramma storico dell’espulsione di dodici milioni di tedeschi dall’Europa Centro-Orientale.
Completano la rivista la consueta Rassegna bibliografica, alcune Schede di libri e le notizie sugli Autori che hanno collaborato al numero.
Come i lettori avranno potuto osservare, nel passaggio da «Studi piacentini» a «I sentieri della ricerca», il Comitato scientifico è stato ampiamente rimaneggiato ed arricchito. Entrano a far parte del Comitato: Aldo Agosti, Mauro Begozzi, Marco Buttino, Angelo d’Orsi, Edgardo Ferrari, Mimmo Franzinelli, Sandro Gerbi, Mario Giovana, Claudio Gorlier, Mario Isnenghi, Lutz Klinkhammer, Marco Lenci, Aram Mattioli, Gilbert Meynier, Marco Mozzati, Massimo Romandini, Francesco Surdich, Nicola Tranfaglia. A questi illustri storici, che hanno accolto con simpatia e calore il nostro invito a partecipare a questa nuova iniziativa, rivolgiamo il nostro grazie e il nostro affettuoso saluto. Per finire, Nicola Labanca affiancherà Giorgio Rochat nella condirezione della rivista.
Nel chiudere questo editoriale vorremmo riprodurre il capoverso posto alla fine della nostra lettera di congedo dalla direzione di «Studi piacentini», che definisce le ambizioni e i traguardi della nuova rivista: «I sentieri della ricerca» sono infiniti, come sono infiniti i sentieri delle nostre montagne, alla cui nobiltà ci ispiriamo. E come i tratturi portano sempre in alto, spesso alla cima, noi vorremmo che i nostri sentieri della ricerca e della memoria ci facessero approdare ad un numero sempre più cospicuo di scoperte, di certezze, di verità». È con questo auspicio che diamo alle stampe il primo numero de «I sentieri della ricerca».